Una carta di identità per i vestiti: il DPP
Stile di vita
La Commissione europea è decisa a ridisegnare il destino della moda fast fashion, destinandola a un’inesorabile discesa, a favore di una moda all’insegna della sostenibilità. Il cambio di rotta è possibile grazie al Passaporto digitale dei prodotti (DPP - Digital Product Passport), una sorta di etichetta tech che fornirà al cliente tutte le informazioni di composizione, fattibilità, riciclo e distribuzione di un capo d’abbigliamento.
Introducendo il DPP entro il 2030, l'obiettivo è quello di promuovere la circolarità dei prodotti, quindi la produzione di abiti più durevoli, riparabili e riciclabili, oltre che più affidabili perché privi di sostanze pericolose. Ma il Passaporto ha anche il compito di garantire la trasparenza di tutte le informazioni circa l’impatto che la produzione del bene ha sull’ambiente. Un modo, quindi, per rendere consapevole il consumatore sulle proprie scelte e metterlo nelle condizioni di sapere che la sua azione - cioè l’acquisto - può essere più o meno sostenibile.
Gli obiettivi dell’Unione Europea sono senz’altro lodevoli e ambiziosi, ma nella pratica cosa vedremo attaccato a una t-shirt nel prossimo futuro? Non si tratterà di una lunga etichetta colma di dati e scritte, ma un semplice QR code scansionabile da tutti i dispositivi in commercio. Sulla schermata appariranno poi molteplici informazioni utili per consentire la circolarità del prodotto. In primis le informazioni riguardo la composizione di fibre, materiali e accessori che formano il prodotto; ciò consente di immettere nel mercato solamente gli abiti che rispettano i requisiti del Regolamento Tessile UE. Nel caso si tratti di un prodotto composto con del materiale riciclato, devono essere riportate tutte le percentuali e le valide prove scientifiche. Un metodo efficiente, questo, per contrastare il fenomeno del greenwashing e arginare prodotti provenienti da paesi che hanno definizioni diverse di riciclo. Se le informazioni sul riciclo risultano falsate o non accettate dal Regolamento, infatti, sarà ostacolato il commercio di tali prodotti all’interno dell’UE.
Dovranno essere inserite anche le alterazioni e i processi applicati al prodotto iniziale durante i tutti i passaggi di produzione; le informazioni sugli aspetti sociali così da garantire il rispetto dei lavoratori di tutta la filiera; le informazioni sull'origine delle componenti e dei materiali del prodotto.
Per capire perché la Commissione ha redatto questa proposta è utile guardare un po’ di dati circa l’impatto ambientale dell’industria della moda. Il settore tessile rappresenta il secondo più inquinante del mondo, successivo solo al mercato petrolifero. Le sue emissioni di CO2 rappresentano il 10% delle emissioni globali e, si stima, che aumenteranno del 60% nei prossimi dieci anni. Ci basta solo pensare che per la fabbricazione di una singola t-shirt sono necessari ben 700 litri d’acqua, ossia il fabbisogno di acqua di una persona per tre anni. Ad aggravare questo già tragico quadro c’è il fatto che, considerando i prezzi della moda fast fashion - cheap per definizione - e la poca informazione che circola riguardo l’inquinamento della moda, in media un cittadino europeo getta ogni anno 11 kg di capi d'abbigliamento.
Visti questi numeri non stupisce che l’Unione Europea si sia attivata, inserendo il DPP all’interno della più ampia Strategia per Tessuti Sostenibili e Circolari, rientrante nel Circular Economy Action Plan. Questa prevede non solo l’obbligo di riportare tutte le informazioni sopracitate del prodotto, ma anche di porre responsabilità e limiti circa l’uso delle microplastiche nei tessuti, la distruzione dell’invenduto e il mercato fast fashion. Tutto ciò, coronato da sostegni destinati alla ricerca per lo sviluppo di nuove tecnologie di riciclo dei materiali tessili e di nuovi materiali bio-based.
Nelle vetrine dei negozi, nelle sfilate e nei giornali di moda si possono già notare alcune realtà che hanno intrapreso la strada della moda sostenibile. Qualche collezione la possiamo notare anche al buio! Si tratta di Light up, una speciale capsule collection nata grazie alla collaborazione tra Wråd e Pulsee, che ha portato alla realizzazione di una giacca luminescente: un capo realizzato grazie al recupero di lana e cashmere, ai quali è stata applicata una tecnologia fotoluminescente in grado di irradiare al buio i raggi UV assorbiti durante il giorno.
Insomma, le parole d’ordine della moda non saranno più “veloce, economico, tanta quantità”, ma pochi capi, lunga durata, amore per l’ambiente e per le persone.