Il cibo estruso come soluzione per mitigare gli effetti dell’inquinamento idrico
Consumo consapevole
Il pesce rappresenta una delle principali fonti di sostentamento per milioni di persone in tutto il mondo, e per secoli i mari sono stati considerati una fonte inesauribile di cibo. Oggi però sappiamo che non è veramente così, perchè una pesca eccessiva contribuisce allo svuotamento della fauna acquatica: tre quarti degli stock ittici sono ormai pescati al limite dell’esaurimento e il risultato è che intere popolazioni di specie, come il tonno rosso del Pacifico e il pesce spada, sono ridotte oggi al loro minimo storico.
Oltre a queste tecniche di pesca e di allevamento ittico aggressive, ne esistono però alcune che, se attuate nel modo corretto, possono essere molto più sostenibili. Un esempio è l’acquacoltura, cioè la produzione controllata di pesce, molluschi, crostacei o piante marine. Una tecnica di allevamento che si configura come un’esigenza produttiva in grado di generare benefici economici e ambientali, ma di cui è comunque importante controllare gli effetti sull’ambiente. Se praticata in modo non sostenibile, ossia utilizzando il pesce pescato come mangime, può contribuire al sovrasfruttamento dei mari e aumentare la pressione sugli stock anziché ridurla.
Uno dei modi per ovviare a questo problema emerge dallo studio condotto da Elisa Fiordelmondo e Alessandra Roncarati, studiose di acquacoltura all’Università degli Studi di Camerino, il quale evidenzia come l’utilizzo ’del cibo estruso nell’allevamento ittico possa influire positivamente nella ’qualità delle acque. Oggi molti allevamenti ittici cibano i pesci – oltre ad altre specie acquatiche pescate in natura – attraverso mangime a pellet, alimento meno funzionale rispetto all’estruso. Il vantaggio principale di quest’ultimo è la bassa velocità di sedimentazione, che consente al cibo di rimanere a disposizione dei pesci più a lungo, riducendo gli ’sprechi alimentari e l’impatto ambientale.
Scegliendo, invece, mangimi estrusi che sostituiscono parzialmente gli ingredienti tradizionali, cioè farina e olio di pesce, con farinacei vegetali come grano, piselli, favino e colza, è possibile rendere il sistema di acquacoltura ancor più sostenibile per l’ambiente. Tale aspetto emerge anche da un altro recente studio pubblicato su Nature Food, il quale dimostra che una riduzione minima del 3% di farina e olio di pesce nella dieta delle specie allevate può sostenere una crescita annua del 2% dell'acquacoltura fino alla fine del secolo senza compromettere la qualità delle carni.
Ma questo non è il solo effetto positivo della produzione del cibo estruso con l’uso parziale di ingredienti alternativi vegetali. Questa dieta bilanciata ha una qualità proteica maggiore e una più alta quantità di aminoacidi, entrambi fattori che contribuiscono all'ottimizzazione della crescita del pesce e al miglioramento della qualità del prodotto finale.
Lo studio di Fiordelmondo e Rincarati, infine, espone due ultimi effetti positivi del cibo estruso, interconnessi l’uno come conseguenza dell’altro. L’uso di questi mangimi nell'acquacoltura provoca negli anni un netto miglioramento di tutti i parametri di qualità delle acque di allevamento, riducendo solidi sospesi, nitriti, nitrati, fosfati e ammoniaca. Parametri, questi, che in ogni sistema di allevamento sostenibile devono essere periodicamente controllati e registrati, perché condizioni di allevamento inadeguate – ad esempio spazi insufficienti per la quantità di pesci allevati o, semplicemente, densità troppo elevate – ed eccesso di sostanze dannose nell’acqua possono avere ripercussioni sfavorevoli sulle specie ittiche allevate, influendo negativamente sulla qualità del pesce che finisce in milioni di tavole nel nostro Paese e nel resto del mondo.